CENACOLO (L’ULTIMA CENA) – Leonardo da Vinci

 

Cenacolo, 1495-1498 (Leonardo) – Milano, Refettorio di Santa Maria delle Grazie
L’incarico, ricevuto da Leonardo, di dipingere la scena dell’Ultima Cena sulla parete del Refettorio di Santa Maria delle Grazie, si inscriveva in un più vasto progetto promosso da Ludovico il Moro. Alla sua committenza fanno esplicitamente riferimento le lunette con gli stemmi sforzeschi circondati da ghirlande di fronde e frutti simbolici che alludono alla crocifissione (il pero), al martirio (la palma) e alla salvezza (il melo).

Il duca intendeva trasformare la chiesa e il convento in un complesso monumentale con una precisa funzione celebrativa; qui infatti aveva previsto la sua sepoltura.
Sul piano architettonico l’intervento era stato ideato dal Bramante che aveva concepito la grande tribuna come corpo a pianta centrale innestato sulla struttura tardo-gotica preesistente.
Il Cenacolo raffigurato da Leonardo doveva occupare un lato minore del vasto salone allungato del Refettorio, mentre sul lato opposto era appena stata terminata la scena della Crocifissione, dipinta dal milanese Giovanni Donato di Montorfano in uno stile ancora arcaico che il Vasari infatti definì “di maniera vecchia”.
L’Ultima Cena costituisce un tema ricorrente nella pittura fiorentina del Quattrocento, e la scena è tradizionalmente caratterizzata dalla disposizione ordinata dei personaggi, lungo la tavola che si estende a occupare lo spazio in orizzontale. Rispetto a questo schema statico, si sviluppa l’interpretazione innovativa di Leonardo, che vede le monumentali figure degli apostoli addensarsi in un concitato movimento d’insieme: la sua rappresentazione è volta a fissarne la varietà degli atteggiamenti e delle reazioni nel momento topico del racconto dei Vangeli, in cui Cristo pronuncia le parole “In verità vi dico: uno di voi mi tradirà” (Matteo, XXVI, 21).
La prima descrizione di quest’opera risale al 1498, l’anno stesso in cui fu completata, ed è la testimonianza del matematico Luca Pacioli, amico di Leonardo, il quale celebra il Cenacolo nella dedicatoria a Ludovico il Moro che fa da prologo al suo trattato De divina proportione. Per quel trattato Leonardo aveva elaborato i disegni dei solidi platonici regolari, simbolo dell’armonia universale; Luca Pacioli illustra il preciso intento di Leonardo di rendere la viva concitazione degli apostoli generata dalle parole di Cristo.
Si legge nel suo elogio:
“Non è possibile con maggiore attenzione vivi gli apostoli immaginare al suono della voce de l’ineffabile verità e quando disse: Unus vestrum me traditurus est. Già da subito, anche agli occhi del Pacioli, la pittura appena realizzata appare come un mirabile teatro di gesti, una dimostrazione eloquente, attraverso il linguaggio delle immagini, della possibilità di rendere una complessa scena, in cui ciascun personaggio comunica la propria reazione emotiva; tanto che alla raffigurazione di Leonardo sembra che manchi solo il suono: con acti e gesti l’uno e l’altro e l’altro e l’uno con viva e afflicta ammiratione par che parlino.
I risultati raggiunti nel Cenacolo corrispondono alle teorie di Leonardo sui “moti dell’animo” maturati anche attraverso le ricerche di anatomia e fisiognomica. Negli scritti afferma la necessità di conferire alle figure la capacità di esprimere, attraverso gli atteggiamenti, con le posizioni delle mani e le espressioni del volto, vale a dire “co’ le membra“, il contenuto del loro pensiero, ovvero “il concetto della mente loro“.
Si tratta dunque di rendere visibile attraverso il movimento del corpo, quello dell’animo.
Scrive Leonardo:
“Quella figura non fia laudabile s’ella, il più che fia possibile, non isprime coll’atto la passione de l’animo suo”.
A questo proposito, vi è un precetto per il pittore, annotato da Leonardo su un foglio insieme ad alcuni studi preparatori per gli apostoli del Cenacolo; è un procedimento di natura mentale, e non tecnico-pratica, da seguire per rappresentare una figura, e consiste nel mettere a fuoco il carattere fondamentale del soggetto, cioè la sua intenzionalità. Leonardo si rivolge prima di tutto a se stesso raccomandando:
“Quando fai la tua figura, pensa bene chi ella è e quello che tu vuoi che ella faccia, e fa che l’opera somigli l’intento e la pretensione”.
A questa indicazione di metodo corrisponde l’idea della figura intesa come personaggio; un concetto indispensabile che trova la sua espressione non solo in ciascuno dei soggetti isolati nei ritratti, ma anche nelle figure all’interno della pittura di storia, laddove intervengono più personaggi che interagiscono fra loro, come rivela il caso emblematico del Cenacolo.

La concatenazione di gesti, sguardi, espressioni, segni delle mani che indicano, lega fra loro le figure degli apostoli che appaiono ritmicamente ripartiti in gruppi di tre: due gruppi per ciascun lato del Cristo, il quale rimane invece immobile al centro, come punto fisso e origine, attraverso le parole pronunciate, del movimento che si propaga come un’onda coinvolgendo le figure circostanti.

Partendo da sinistra, il primo gruppo raffigura, con le tre teste rivolte verso il Cristo, Bartolomeo, Giacomo Minore e Andrea; quest’ultimo in un atteggiamento di stupore mirabilmente riassunto da Leonardo stesso: “colle mani aperte mostra le palme di quelle, e alzale spalli inver li orecchi e fa la bocca della maraviglia“.

Il secondo gruppo è quello dal significato più complesso: riunisce insieme Giuda, Pietro e Giovanni. La figura del traditore che, in primo piano, stringe nella destra il sacchetto delle monete, è inserita tra quelle degli altri apostoli e non è collocata isolatamente dalla parte opposta della tavola, secondo l’iconografia tradizionale che lo designava come colpevole predestinato. Questo aspetto è qui rifiutato in virtù del principio del libero arbitrio, sostenuto dall’Ordine dei Domenicani a cui apparteneva la chiesa di Santa Maria delle Grazie.

Dietro a Giuda, Pietro emerge accostandosi con le sue fattezze di vecchio a quelle invece giovani e delicate di Giovanni (qui raffigurato col viso di donna, si suppone Maddalena). Questi si inclina verso sinistra, parallelamente alla linea accennata dal paesaggio nello spazio che si apre sullo sfondo tra lui e il Cristo, il quale con il suo braccio stabilisce una direttrice obliqua opposta.

Sulla destra, il primo gruppo sembra interloquire più direttamente con il Cristo: Tommaso punta il dito verso l’alto, Giacomo Maggiore spalanca le braccia in un ampio gesto d’indignazione che misura lo spazio in profondità e sottolinea la diagonale dell’altro braccio di Cristo; Filippo indica interrogativamente se stesso.

All’estremità destra, Matteo, Taddeo e Simone discutono fra loro con grandi gesti dimostrativi delle mani in dinamica successione, convogliando l’attenzione dal margine verso il centro.
La figura del Cristo coincide con il vertice in cui convergono le linee della costruzione prospettica, che scandisce lo spazio nel quale è ambientata la scena.
Collocando il punto di fuga a un’altezza notevole, irraggiungibile rispetto al punto di vista reale dell’osservatore, Leonardo dimostra l’intenzione di fare un uso scenografico della prospettiva per ottenere un effetto monumentale.
La testa del Cristo interseca la linea dell’orizzonte e si staglia contro l’azzurro luminoso del cielo, inscrivendosi dentro l’apertura della porta centrale che insieme alle due finestre rivela il paesaggio sullo sfondo.
In primo piano, la tavola costituisce un grande brano di natura morta per la precisione dei dettagli e la nitidezza della resa dei diversi materiali, come il disegno regolare delle pieghe della tovaglia o il vetro trasparente dei bicchieri.
Purtroppo, a causa della tecnica sperimentale impiegata da Leonardo, il Cenacolo cominciò ben presto a “guastarse“. Il Vasari, a distanza di settant’anni dalla sua esecuzione, lo definisce “tanto male condotto che non si vede più se non una macchia abbagliata“.
A rischio di compromettere l’intera opera, come avverrà anche con la sperimentazione tentata per realizzare la Battaglia di Anghiari, il rifiuto della tecnica duratura del “buon fresco” corrisponde all’esigenza di Leonardo di poter intervenire a più riprese seguendo i tempi imprevedibili dell’elaborazione creativa.
Il Cenacolo fu condotto da Leonardo a tempera e olio su due strati di preparazione, dipingendo su muro come se fosse su tavola, e il ritmo irregolare del lavoro è testimoniato dal racconto di Matteo Bandello che aveva visto con i suoi occhi Leonardo all’opera:
“L’ho anche veduto (secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava) partirsi […] e venirsene dritto alle Gratie: et asceso sul ponte pigliar il pennello, et una o due pennellate dar ad una di quelle figure e di subito partirse e andare altrove”.
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